Pensieri di una sera

E’ una sera qualunque e sto preparando la cena. Da un angolo della cucina la Tv trasmette qualcosa che non guardo. Forse pubblicità o chi sa cosa. Sto pensando ad altro come mi succede spesso. Il volume è basso e non disturba. Poi, d’improvviso, avverto una musica che riconosco: un motivo piuttosto lento  e vagamente sdolcinato suonato dagli archi che mi riporta indietro a molti anni fa. Mi volto: guardo lo schermo, alzo un po’ il volume e appaiono immagini in bianco e nero con la scritta. I fratelli Karamazov. Ora ricordo: questa era la musica della sigla iniziale. Una musica che ha accompagnato tante serate davanti alla Tv e che ora fa rimbalzare i ricordi della mia, ormai lontana, giovane età.  Continuo a sbucciare le patate, ma intanto mi soffermo a guardare il vecchio sceneggiato. E rivedo Salvo Randone che, da par suo, recita la parte di Fëdor Pàvlovic Karamazov. Ma poi anche un Umberto Orsini, biondissimo per esigenze di scena, Corrado Pani, una convincente Lea Massari e altri attori molto popolari.

E’ strano rivedere ora queste immagini. Sono passati un bel po’ di anni. Molti di questi interpreti e lo stesso regista sono morti, ma qui, in questa sera qualunque, sono ancora vivi e parlano e si muovono come in un tempo fermo. E mi viene da pensare a questa nostra epoca così particolare dove la possibilità di rivedere e riascoltare volti e voci del passato è diventata una consuetudine. Una tecnologia tanto sofisticata quanto alla portata di tutti, ci permette un accesso, altrimenti impensabile, a un tempo che non è il nostro. Basta un clic sulla tastiera di un computer o la trasmissione di un vecchio sceneggiato come questo e possiamo saltare da un’epoca ad un’altra per rivivere le storie di uomini e luoghi i più disparati. La stessa tecnologia ci regala immagini e suoni che altri hanno vissuto, dove la vita, quella vera, magari non c’è più da tempo, ma che ritorna ogni volta che ripeto quel clic. La fotografia genera, almeno credo, l’immaginazione, crea la partecipazione nel tentare di interpretare una posa, uno sguardo. Il video sonoro è diverso: tutto è presente, è qui, ora e riporta una verità palese che non chiede immaginazione, ma già rivela e scopre.

Il cinema ci ha abituato a rivedere i volti di divi del tempo andato, YouTube ci permette di guardare all’infinito le performance di qualsiasi genere e categorie di persone vive o defunte e in questo andirivieni di immagini e suoni si vive in un eterno presente. I confini del vero si fanno più sfumati, la vita e la morte sono categorie meno nette nel quotidiano in cui perfino la cruenta violenza delle cronache di guerra, riportata dalla scatola domestica televisiva, viene guardata con sguardo distratto quasi fosse la continuazione di un video già visto e scaricato da internet. Nell’andirivieni di immagini e suoni che commentano di continuo il nostro vivere, si perde forse qualcosa di importante e in questa nostra società liquida neppure la morte sembra essere una cosa certa.

L’impassibile memoria dei tanti social network e altre diavolerie simili quanto incide sulla costruzione dei nostri ricordi, quelli fatti di omissioni, di errori, ma frutto anche della nostra capacità di dimenticare? Quanto resterà di questo nostro tempo così presuntuoso da permettersi di scavalcare il diritto all’oblio? E poi: la pergamena è durata secoli, ma, a quanto ne so, non sarà così per i nostri computer, le nostre registrazioni audio, video e altra roba simile destinata ad essere annullata da un progresso che ogni volta muta il volto delle sue stesse conquiste.

Non sono retrograda, non ho rimpianti di nessun genere per epoche passate, ma mi piacerebbe sapere cosa diventerà la vita fra cento o trecento anni e cosa mi perderò. Forse ci salveranno le ultime frontiere della fisica con la curvatura dello spazio-tempo, l’enigma dei buchi neri e la natura dei quanti. Probabilmente nascerà un nuovo pensiero sul mondo,  sullo scorrere del tempo, sul modo di stare insieme, ma ancora è troppo presto e un po’, davvero, mi dispiace.

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